A cura dell’Avvocato Giovanni Meliadò e dell’Avvocato Vincenzo Campellone
Studio Legale Meliadò
La suprema Corte di Cassazione, con una recentissima Ordinanza (cfr n. 16936 del 15 Giugno 2021) ha ritenuto che: “è configurabile la responsabilità di una Struttura Sanitaria per colpa medica da ritardo della prestazione, tenuto conto della natura contrattuale del rapporto, laddove la stessa non riesca a dimostrare che l’inadempimento sia imputabile al paziente.”
La vicenda processuale
Un uomo veniva ricoverato in una struttura sanitaria in stato comatoso a causa di un sospetto ematoma subdurale, per poi essere condotto in sala operatoria per l’operazione, ma, a causa dell’improvvisa sopravvenienza di un caso ritenuto più grave ed urgente, il suo intervento chirurgico veniva rimandato.
I familiari del Paziente, allarmati da tale inaspettata circostanza, decidevano di trasferire il paziente presso una clinica privata, laddove veniva sottoposto all’intervento rimandato, con esito favorevole; tuttavia la prestazione presso l’ultima struttura veniva a costare circa 20.000,00 euro.
A seguito di tale evento, il Paziente, agiva in giudizio nei confronti dell’Ente responsabile della Struttura Sanitaria chiedendo il rimborso della somma sostenuta ma, a seguito del contenzioso, il Tribunale rigettava le sue richieste.
Il Paziente decideva di proporre appello avverso la Sentenza di primo grado e la Corte d’Appello riteneva fondata la domanda di rimborso, motivando come l’azienda sanitaria avesse differito una prestazione urgente, costringendo così i familiari a rivolgersi a un’altra struttura e a sostenere delle spese non previste.
L’Azienda ospedaliera, decideva di ricorrere in Cassazione, contestando la mancata dimostrazione da parte del Paziente del proprio inadempimento, considerata la natura contrattuale del rapporto intercorso e ritenendo che la Corte di Appello aveva erroneamente interpretato un profilo di responsabilità per inadempimento nei suoi confronti, trascurando che l’intervento non fosse urgentissimo e che il suo differimento era giustificato dalla necessità di effettuarne uno più grave ed improrogabile e che l’inadempimento, semmai, doveva essere addebitato al paziente per asserita violazione dei doveri di correttezza e buona fede nel non prestare la dovuta collaborazione.
L’Azienda contestava altresì che la prestazione non poteva essere effettuata a causa della condotta dei familiari, che avevano deciso di spostare il congiunto in un’altra struttura, rendendo così impossibile l’adempimento, che era ancora eseguibile, oltre che, spettasse al Paziente dimostrare sia la fonte contrattuale del rapporto che l’inadempimento.
La Cassazione, dopo aver esaminato i suddetti motivi di ricorso, è giunta alla conclusione che gli stessi, valutabili congiuntamente, sono infondati e che quindi il ricorso deve essere respinto, motivando come l’Azienda avesse ammesso la natura contrattuale del rapporto, con conseguenti riflessi sull’onere probatorio e come la Corte d’Appello avesse ritenuto correttamente che era onere dell’Azienda dimostrare la non imputabilità del ritardo della prestazione a sé stessa.
Per la Cassazione l’Azienda non ha infatti dimostrato come fosse inevitabile differire l’intervento per un caso sopravvenuto, configurandosi di conseguenza un ritardo ingiustificato dell’intervento, venendo meno anche la dimostrazione sull’indifferibilità della prestazione, a suo dire, più urgente.
Oltre a ciò la condotta dei parenti del Paziente non poteva quindi essere ritenuta contraria ai doveri di buona fede e correttezza perché causata dall’inadempimento dell’Azienda Sanitaria e finalizzata solo a evitare che il parente riportasse un danno maggiore.
La Corte quindi, accertato l’inadempimento dell’Azienda, ha concluso affermando che, la mancata soddisfazione dell’interesse del creditore non possa ritenersi imputabile alla sua condotta, anche perché nei precedenti gradi di giudizio non è mai stato neppure prospettato un inadempimento reciproco.