A cura dell’Avvocato Giovanni Meliadò e dell’Avvocato Vincenzo Campellone
Studio Legale Meliadò
Con una recente Sentenza (Cassazione Penale, sez. IV, 14/03/2022, n.8468) la Suprema Corte ha stabilito come “In tema di responsabilità da colpa medica, è configurabile colpa per negligenza nella condotta del medico del pronto soccorso che, in presenza di sintomatologia idonea a formulare una diagnosi differenziale, non rispetti l’obbligo cautelare informativo di rendere edotto il paziente circa l’insufficienza dei dati diagnostici acquisiti per individuare l’effettiva patologia che lo affligge, così da prevenire il rischio di scelte inconsapevolmente ostative agli approfondimenti diagnostici e alle cure”.
Il caso vedeva il decesso di un paziente per patologia cardiaca, avvenuto a distanza di poche ore dalle volontarie dimissioni dall’ospedale, sulla base di una diagnosi di epigastralgia formulata prima del completamento dell’iter diagnostico dal Medico di Pronto soccorso, a seguito della quale il Paziente decideva di dimettersi spontaneamente e contro il parere del medico di pronto soccorso.
Il Medico veniva imputato del delitto di cui all’art. 589 c.p. perché, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia e violazione di legge aveva cagionato la morte del paziente per insufficienza dei dati diagnostici acquisiti e condannato in primo grado dal Tribunale di Benevento.
In particolare, il Giudice di primo grado ha ritenuto che un paziente cardiopatico che lamenti una sintomatologia come quella di cui al caso concreto avrebbe dovuto essere tenuto sotto controllo in ambiente ospedaliero, anche in caso di negatività agli esami preliminari (tracciato dell’elettrocardiogramma e degli esami enzimatici) essendovi una chiara raccomandazione di tenere in osservazione tali pazienti per un intervallo di tempo che va dalle 6 alle 12 ore, verificando a intervalli regolari la presenza di enzimi. Anche a voler ritenere che la patologia specifica non rientrasse nelle nozioni del Medico di pronto soccorso, quest’ultimo, avrebbe dovuto comunque rivolgersi allo specialista cardiologo.
Il Giudice ha anche ritenuto provato il rifiuto del ricovero da parte del paziente, attribuendo tuttavia l’allontanamento dello stesso a un’informazione erronea e incompleta da parte del Medico, che non aveva comunicato al paziente una diagnosi specifica, a causa dell’insufficienza dei dati diagnostici raccolti, limitandosi a una generica e sommaria rassicurazione, invitando il paziente a mangiare riso in bianco e ponendo diagnosi conclusiva di epigastralgia all’atto delle dimissioni.
La Corte di Appello riformava la pronuncia di condanna emessa nei confronti del Medico di Pronto Soccorso, assolvendolo con formula “perché il fatto non sussiste” e revocando le statuizioni civili. Quindi le Parti civili ricorrevano in Cassazione censurando la sentenza impugnata.
La Suprema Corte annullava la Sentenza della corte d’Appello riinviando al Giudice civile competente per valore in grado di appello, deducendo come il tema principale del ricorso fosse quello della diagnosi differenziale, rivelandosi carenti l’iter argomentativo e l’attività di valutazione del provvedimento impugnato. Pur avendo i giudici di appello riconosciuto che le possibili alternative connesse al dolore addominale lamentato dal paziente nel caso in esame non rendessero immediata la diagnosi corretta, devono essere censurate proprio per non aver considerato che, proprio la non immediatezza della diagnosi e le difficoltà connesse alla sua esatta formulazione, avrebbero dovuto indurre l’imputato a non accontentarsi di una ipotesi diagnostica ma a proseguire la sua indagine sino ad addivenire, mediante un procedimento induttivo, a quella esatta.
Oltre a ciò la Suprema Corte ha rilevato come l’obbligo di garanzia gravante sul medico di Pronto Soccorso può in generale ritenersi definito dalle specifiche competenze che sono proprie di quella branca della medicina che si definisce medicina d’emergenza o d’urgenza. In tale ambito rientrano l’esecuzione di taluni accertamenti clinici, la decisione circa le cure da prestare e l’individuazione delle prestazioni specialistiche eventualmente necessarie.
In tema di colpa professionale medica, l’errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca ad inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza, o si addivenga ad un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli e accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi.
Il Medico imputato ha dimesso il paziente con diagnosi di “epigastralgia”, al contempo annotando, in calce alla dimissione scelta dal paziente “contro il parere dei sanitari”, di aver “provveduto a informare (il paziente) in merito alle complicanze possibili”. Nonostante ciò tale condotta è stata valutata dal Giudice di primo grado causalmente correlata all’evento in ragione dell’inesattezza dell’informazione fornita al paziente, della insufficienza dei dati diagnostici acquisiti, e delle regole sulla diagnosi differenziale.
Conclusivamente, la Suprema Corte ritiene che il Giudice d’appello abbia, da un lato, omesso di confrontarsi compiutamente con l’iter logico-giuridico seguito dal Giudice di primo grado per pervenire alla condanna, sebbene abbia condiviso e utilizzato le medesime risultanze probatorie e che, dall’altro, abbia sviluppato un percorso logico-motivazionale contraddittorio e manifestamente illogico su un punto centrale ai fini della decisione.