A cura dell’Avvocato Giovanni Meliadò e dell’Avvocato Vincenzo Campellone
Studio Legale Meliadò
Con una recente pronuncia la suprema Corte di Cassazione (cfr. Cassazione Penale – Sezione IV – Sentenza 42453 del 18/10/2023) ha chiarito come in mancanza di accertamento del nesso di causalità tra l’intervento posto in essere dal medico e l’evento lesivo accertato, non sia legittima la condanna fondata su un giudizio espresso in termini probabilistici dai consulenti tecnici.
Tale Sentenza della Suprema Corte scaturisce da un ricorso presentato da parte di un imputato, nel caso di specie ginecologo, avverso la pronuncia della Corte di appello di Messina, che confermando la precedente statuizione del Tribunale, lo aveva ritenuto colpevole di lesioni ex art. 590 c.p. per aver cagionato alla paziente la perforazione dell’utero e dell’intestino con conseguente insorgenza di un’ileite acuta virulenta gangrenosa che culminava con la resezione di 25 cm di ileo, condannandolo alla pena di mesi tre di reclusione nonché al risarcimento del danno.
Nello specifico, la paziente veniva sottoposta ad un intervento di revisione della cavità uterina a seguito di un aborto intervenuto alla quinta settimana di gestazione e dopo che la stessa aveva lamentato forti dolori. Una volta effettuato l’intervento, subentravano nuove complicazioni dovute all’insorgenza di linfedema degli arti inferiori ed infezione della ferita chirurgica oltre che per il persistere delle algie.
Il giudice di primo grado, basandosi sulla consulenza disposta dal PM e dalla parte civile, nonchè delle prove testimoniali assunte, accertava la sussistenza di nesso di causalità tra l’intervento di revisione della cavità uterina e la perforazione dell’utero e dell’intestino con conseguente insorgenza di un’ileite acuta gangrenosa a causa di omessa tempestiva diagnosi della lesione intestinale che culminava nella resezione di 25 cm di intestino.
il Tribunale prima, e la Corte d’Appello poi, ritenevano entrambe che, per quanto concerne l’elemento soggettivo del reato contestato, la condotta del medico fosse connotata da imperizia nell’esecuzione dell’intervento e da negligenza per aver omesso di porre in essere i dovuti esami in fase di esecuzione del medesimo previsti dalle linee guida e comunque dalle buone pratiche clinico-assistenziali.
Con ricorso in cassazione il medico deduceva la violazione di legge della sentenza impugnata, rilevando come sia la struttura che l’articolazione della stessa, fossero non conformi alla regola del giudizio “oltre ogni ragionevole dubbio” sotto il profilo della ritenuta sussistenza dell’indispensabile nesso causale tra la condotta tenuta dal medico e le lesioni occorse alla persona offesa; e la motivazione illogica e contraddittoria in relazione al meccanismo di determinazione della pena laddove il giudice di appello non ha inteso diminuire la pena irrogata in primo grado.
La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso, ha osservato come in tema di responsabilità medica, “ai fini dell’accertamento del nesso di causalità è necessario individuare tutti gli elementi concernenti la causa dell’evento lesivo per il paziente, in quanto solo la conoscenza, sotto ogni profilo fattuale e scientifico, del momento iniziale e della successiva evoluzione della malattia consente l’analisi della condotta omissiva colposa addebitata al sanitario onde effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l’evento lesivo per il paziente sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio (vedi tra le ultime Sez. 4, n. 37193 del 15.9.2022)“.
La Suprema Corte quindi, dopo aver ribadito la necessità del giudizio controfattuale al fine di scongiurare, in tema di nesso di causalità, se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento o, in ipotesi di condotta commissiva, l’assenza avrebbe potuto evitare l’evento, come non sia “consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, cosicché, all’esito del ragionamento probatorio, che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori eziologici alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con alto grado di credibilità razionale“.
Concludendo quindi, sulla base dei principi evidenziati, la Suprema Corte ha censurato i precedenti organi giudicanti illustrando come, nelle ipotesi di lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale debba essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale.
Nel caso di specie, censura sempre la Suprema Corte, il giudizio di responsabilità nei riguardi dell’odierno imputato essendosi fondato solo sulle conclusioni espresse dal consulente del PM, senza prendere come riferimento i principi relativi al nesso di causalità per procedere al relativo accertamento, deve essere annullato con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello competente territorialmente per un nuovo giudizio.