A cura dell’Avvocato Giovanni Meliadò e dell’Avvocato Vincenzo Campellone
Studio Legale Meliadò
Con una recente Sentenza la Suprema Corte (cfr. sentenza 25887 del 2 settembre 2022) ha stabilito come, il danno patito per aver contratto un virus a seguito di un’emotrasfusione con sangue infetto vada risarcito dal momento in cui l’agente patogeno si sia effettivamente rivelato con manifestazioni sintomatiche tali da incidere sulla qualità della vita del danneggiato e non dal momento del contagio e che potrebbe essere anche molto successivo. Attraverso tale principio la Cassazione ha cassato la decisione con cui la Corte d’appello di Firenze, liquidando il danno biologico subito dall’attore per aver contratto il virus dell’epatite HBV e HVC, aveva assunto quale parametro l’età del danneggiato al momento della trasfusione e non invece quella che aveva al tempo in cui la patologia gli era stata diagnosticata.
Come emerso, infatti, durante lo svolgimento del processo il danneggiato aveva pacificamente ammesso di non aver mai accusato alcun sintomo delle patologie contratte sino a quando, in occasione di alcuni accertamenti sanitari eseguiti addirittura vent’anni dopo il contagio, gli era stata rilasciata una diagnosi di epatite che, evidentemente, gli avrebbe cambiato sensibilmente la vita causandogli uno stato di forte stress e depressione e costringendolo a sottoporsi a continue cure, senza prospettiva alcuna di guarigione. Dopo aver accertato attraverso un’analisi tecnica il nesso causale tra la patologia e l’emotrasfusione con sangue infetto, l’attore ha agito nei confronti del ministero della Salute l’integrale risarcimento del danno alla salute causato dall’evento illecito, dopo aver comunque ricevuto l’indennizzo di cui al Fondo previsto dalla legge 210/1992.
La Suprema Corte, nell’analizzare la fattispecie ha ricordato alcuni principi fondamentali in tema di corretta liquidazione del danno alla salute. In primo luogo sul “danno risarcibile” che non è mai “in re ipsa” e non è perciò costituito dalla lesione di un diritto, che è solo il necessario presupposto per l’esistenza del danno, ricordando quindi che non vada confuso il piano della causalità materiale, meramente eventistico, con quello della causalità giuridica. Di conseguenza il danno, per esser risarcito, deve comunque manifestarsi con una perdita concreta, sia essa patrimoniale o di altro tipo.
Al pari sempre la Suprema Corte, ha ribadito come il danno biologico, si sostanzi non per il solo fatto che una lesione si sia verificata ma, il risarcimento del danno da esso eventualmente derivante si configura solo se, e in quanto, venga dimostrato che quella determinata lesione abbia prodotto una vera e propria compromissione di una o più abilità della vittima nello svolgimento delle attività quotidiane (cfr. art. 138 Codice Assicurazioni). In mancanza di questa compromissione “la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno apprezzabile sul piano medico legale e giuridicamente risarcibile”.
Di conseguenza la Corte ha concluso chiarendo come, in applicazione al caso di specie, l’attore, avesse certamente diritto al risarcimento ma solo dal momento in cui il contagio, rivelatosi tardivamente, abbia effettivamente pregiudicato la qualità della sua vita. Tale risarcimento, peraltro, non potrà cumularsi con l’ammontare dello speciale indennizzo erogato dal Fondo previsto dalla legge 210/1992: in quanto dovrà essere scorporato dall’ammontante risarcitorio riconosciuto a favore della vittima.