A cura dell’Avvocato Giovanni Meliadò e dell’Avvocato Vincenzo Campellone
Studio Legale Meliadò
Con una recentissima sentenza (la n. 8864/2020) la Cassazione ha chiarito come, laddove non sia stata raggiunta una soglia probatoria della rilevanza della condotta del ginecologo, accusato di non aver praticato in tempo un taglio cesareo, cagionando la morte del feto, il medico deve essere assolto con la formula “per non aver commesso il fatto.”
Un medico veniva accusato di aver cagionato, in concorso con il medico del turno precedente, il decesso del feto di una partoriente alla trentaquattresima settimana di gravidanza con sintomi di preeclampsia per ritardato espletamento del parto, omesso monitoraggio e mancata adozione delle necessarie misure terapeutiche necessarie a salvaguardare la salute della madre e del feto.
Secondo i Giudici di merito un intervento immediato avrebbe salvato probabilmente entrambi, ma il ginecologo dalle ore 8 del mattino fino alle ore 10,07 non ha praticato alcun intervento sulla gestante, tanto è vero che il feto a quell’ora era già morto.
Dall’istruttoria è emerso che se il medico fosse intervenuto alle ore 9.30, quando la situazione, ancorché grave, non risultava ancora compromessa, il feto sarebbe sopravvissuto. In sede d’Appello i Periti nominati dalla Corte, hanno evidenziato che da prima che il secondo medico subentrasse al primo sussistessero tutte le condizioni per procedere a un taglio cesareo d’urgenza e che la condotta del secondo ginecologo avrebbe portato ad un’omessa riapplicazione della cardiotocografia al fine di monitorare il battito del feto. Per i periti questo esame, laddove espletato, avrebbe consentito di stabilire con più precisione se il taglio cesareo, praticato un’ora prima, avrebbe potuto salvare il feto, tuttavia, l’indisponibilità del tracciato cardiotocografico nell’arco temporale compreso tra le 07,00 e le 09,30 non ha consentito di stabilire se, qualora il cardiotocografo fosse stato tempestivamente riapplicato e fosse stato eseguito il taglio cesareo un’ora prima, il feto si sarebbe potuto salvare, laddove la sopravvivenza è stata ritenuta certamente probabile se il taglio cesareo fosse stato eseguito attorno alle ore 07,00.
La Corte d’Appello nonostante queste ultime precisazioni dei periti conclude per la responsabilità del secondo ginecologo perché ha ricollegato l’omessa cardiotocografia da parte di quest’ultimo al ritardo del cesareo e quindi alla morte del feto, senza tenere conto del dubbio manifestato dai periti sulle effettive chances di vita del feto.
Il secondo ginecologo di turno ricorre a questo punto in sede di Cassazione contestando l’omessa motivazione della Corte d’Appello sul nesso di causa tra la sua condotta e l’evento letale visto che non è possibile stabilire se, eseguendo la cardiotocografia e anticipando il cesareo di un’ora le condizioni del feto erano tali da consentirgli la sopravvivenza evidenziando peraltro che i periti, anche riconoscendo in capo all’imputato una condotta omissiva, non hanno ritenuto che “tale condotta, con elevata probabilità prossima alla certezza, avesse avuto quale conseguenza la morte del feto.”
Con il secondo invece lamenta l’errata qualificazione giuridica del reato, inquadrabile più correttamente nell’aborto colposo previsto dall’art. 593 bis c.p., visto che uno dei periti ha affermato che i polmoni del feto non hanno mai respirato e che il medico del turno precedente è stato imputato per questa ipotesi delittuosa meno grave, poi assorbito con la Sentenza di assoluzione.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 8864/2020 accoglie il ricorso del ginecologo perché fondato. In effetti giurisprudenza ormai consolidata ha stabilito che “a proposito dell’obbligo motivazionale del giudice dissenziente in tema di responsabilità medica, si afferma che il giudice di merito che intenda discostarsi dalle conclusioni del perito d’ufficio è tenuto ad un più penetrante onere motivazionale, illustrando accuratamente le ragioni della scelta operata, in rapporto alle prospettazioni che ha ritenuto di disattendere, attraverso un percorso logico congruo, che evidenzi la correttezza metodologica del suo approccio al sapere tecnico- scientifico, a partire dalla preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all’affidabilità delle informazioni scientifiche disponibili ai fini della spiegazione del fatto.”
Inoltre la Suprema Corte ha altresì evidenziato come i Giudici di merito abbiano altresì trascurato che “nei reati omissivi impropri, la valutazione concernente la riferibilità causale dell’evento lesivo alla condotta omissiva, deve avvenire rispetto alla sequenza fenomenologica descritta nel capo d’imputazione, di talché, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice di merito in riferimento alla specifica attività che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale.”
In sintesi per il doppio orientamento applicato al caso di specie il Supremo Collegio non ha che potuto censurare la Corte d’Appello per non aver applicato correttamente tali principi, disattendendo le conclusioni dei periti i quali, riferendo che: “quanto alla possibilità che il nascituro nascesse vivo e vitale ove estratto alle 07,00 anziché alle 09,30, i periti si sono detti non in grado di fornire una risposta certa, in relazione alle condizioni della madre e del feto.” avevano di fatto insinuato un dubbio nell’Organo Giudicante tale da non poterlo portare ad una condanna oltre ogni ragionevole dubbio nei confronti del medico.