A cura dell’Avvocato Giovanni Meliadò e dell’Avvocato Vincenzo Campellone
Studio Legale Meliadò
Con una recentissima Sentenza, la Corte di Cassazione (Sezione IV Penale, con la sentenza 17 aprile 2020 n. 12353) è intervenuta su una tematica già affrontata e di portata più che attuale, affermando come, nel caso in cui il medico dovesse causare il decesso di una paziente per condotta omissiva avendo l’obbligo di impedire tale evento, è necessario operare un giudizio controfattuale per acclarare il nesso eziologico tra la condotta omessa e l’evento.
Tale giudizio deve essere effettuato valutando la specifica attività richiesta al medico, in quel determinato caso, ad esempio, una diagnosi che non è stata fatta o una terapia non somministrata o un intervento non effettuato. E quindi, dal giudizio controfattuale deve emergere se l’omessa attività, ancorché richiesta al sanitario, fosse idonea, laddove realizzata, a non provocare o quanto meno ritardare l’evento lesivo, poi verificatosi.
La massima predetta è il risultato di un procedimento penale a carico di un medico condannato nei primi due gradi di giudizio per omicidio colposo a causa del decesso di una paziente, affetta da una patologia cerebrale, nello specifico idrocefalo triventricolare, che provoca un aumento di liquido all’interno delle cavità ventricolari cerebrali.
A parere dei giudici di merito, il sanitario era stato ritenuto colpevole del reato predetto poiché, dopo aver esaminato la TAC che evidenziava un quadro grave, aveva sottovalutato la situazione, omettendo di intervenire sulla paziente riducendo la pressione intracranica e determinando un danneggiamento irreversibile del cervello, da cui era poi derivata la morte.
Nel giudizio di secondo grado, veniva nominato un Collegio Peritale nuovo per accertare l’incidenza causale della condotta del medico sull’evento morte. A parere del Collegio, dalla TAC emergeva la necessità di un intervento immediato, tuttavia, anche laddove l’intervento fosse stato eseguito, la paziente, con alta probabilità (80/90%), non si sarebbe salvata.
Nonostante ciò la Corte confermava la sentenza di condanna emessa in primo grado.
Il medico ricorreva alla Suprema Corte, che pertanto si è dovuta pronunciare sul tema del nesso eziologico nei reati omissivi impropri, più specificamente sulla nozione di causalità e di giudizio controfattuale, ovvero, la causa antecedente senza la quale l’evento stesso non si sarebbe verificato.
Sul punto la Corte ha ricordato come il comportamento umano possa essere causa di un evento solo se senza tale condotta, l’evento non si sarebbe verificato (formula positiva) viceversa, possa essere non causa dell’evento, se anche in mancanza di tale comportamento, l’evento si sarebbe verificato egualmente (formula negativa).
La Corte ha poi evidenziato come, in applicazione al caso di specie, essendo necessario ricostruire tutti gli anelli di una catena causale per acclarare la sussistenza (o meno) del nesso eziologico tra il comportamento del sanitario e l’evento morte, il giudice è stato chiamato ad «un giudizio di “alta probabilità logica” e di “elevata credibilità razionale” fondato sulle evidenze scientifiche e su dati indiziari caratterizzanti il caso concreto, che avrebbe dovuto affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il comportamento omesso avrebbe salvato o prolungato la vita della paziente.
Proprio per tali motivi, la Corte, ribaltando le Sentenze di condanna, ha assolto il medico, ritenendo che i giudici di merito non hanno correttamente applicato i principi relativi all’accertamento del nesso causale nei reati omissivi impropri, non considerando che i Periti avevano indicato una percentuale di successo dell’operazione intorno al 10/20%, ergo, una ridotta probabilità di successo, anche qualora il medico avesse effettuato tempestivamente l’operazione chirurgica al cervello.
In conclusione, la Corte ha affermato che per offrire la prova del fatto, «il giudice non può attingere a criteri di mera probabilità statistica, ma deve fare riferimento al criterio della probabilità logica, intesa come “la verifica aggiuntiva, sulla base dell’intera evidenza disponibile, dell’attendibilità dell’impiego della legge statistica” rispetto al singolo evento oggetto dell’accertamento giudiziale».