A cura dell’Avvocato Giovanni Meliadò e dell’Avvocato Vincenzo Campellone
Studio Legale Meliadò
La Sentenza oggi esaminata fonda le sue basi dall’iniziativa di due genitori, i quali, in qualità di esercenti la potestà genitoriale sul figlio, agivano in giudizio nei confronti dell’Azienda Sanitaria del Molise al fine di chiedere il risarcimento dei danni per gravi patologie neurologiche patite dal loro figlio minore (lesioni neurologiche irreversibili) a causa dei comportamenti ritenuti negligenti e non tempestivi del personale sanitario.
Il Tribunale del primo grado, considerata la CTU dalla quale emergeva, inter alia, una patologia pregressa nei confronti della madre che avrebbe concorso a procurare il danno subito dal minore, aveva accolto la domanda attorea, riducendola nel quantum (40%) e condannato la Struttura Sanitaria al risarcimento dei danni patrimoniali e non a favore degli attori, quali legali rappresentanti del minore.
Avverso detta sentenza proponevano appello principale gli originari attori ed appello incidentale la società assicuratrice, e la Corte adita, in accoglimento del ricorso principale degli attori, aveva ritenuto che, dal giorno in cui era emerso il dato del “rallentamento di crescita del feto”, non era stata prestata alla gestante sufficiente assistenza, evento che “avrebbe evitato con probabilità vicina alla certezza” ovvero avrebbe ridotto l’incremento dei “danni intrauterini fetali e l’entità delle lesioni neurologiche irreversibili” del nascituro.
La Corte, infatti, riteneva che la situazione patologica pregressa della madre, non costituiva elemento determinante e fortuito tale da poter incidere sul grado di diligenza che i sanitari avrebbero dovuto tenere, e pertanto che non fosse possibile applicare una riduzione proporzionale della responsabilità medica, né ridurre il quantum del risarcimento gravante sulla struttura sanitaria.
Alla luce dei predetti motivi la Corte d’Appello condannava la Struttura Sanitaria alla refusione della maggior somma richiesta dagli appellanti e non riconosciuta dal Giudice di primo grado.
La compagnia assicuratrice proponeva ricorso in Cassazione rilevando come il contratto di ospedalità, ossia il contratto a prestazioni corrispettive che si instaura tra la struttura sanitaria e il paziente, non producesse i propri effetti protettivi anche nei confronti dei terzi, ossia i genitori del minore; ritenendo quindi prescritto, al momento dell’atto di citazione, il diritto degli stessi attori.
Tale motivo veniva dichiarato inammissibile, alla luce del principio secondo cui: il contratto che si instaura tra gestante e struttura sanitaria, produce i suoi effetti anche nei confronti dei genitori del concepito, legittimati, in caso di inadempimento, ad agire per la richiesta di risarcimento danni.
Con il secondo motivo di ricorso principale, il ricorrente censurava che il giudice della Corte d’Appello, (pur conformandosi alle argomentazioni della CTU “secondo cui l’insulto iposso-ischemico” subìto dal bambino, fosse riconducibile alla nascita prematura e comunque era stato aggravato dalla mancata ospedalizzazione della paziente nella misura del 60%) non aveva delimitato in modo corrispondente il quantum debeatur, ritenendo che laddove gli operatori sanitari avessero optato per una pratica corretta, avrebbero potuto circoscrivere o neutralizzare i danni che ne sono, invece, emersi.
Sul punto la Suprema Corte ha ritenuto come ci sia stata contraddittorietà della decisione della Corte d’Appello, “tale da rendere incomprensibile la ratio decidendi”, in quanto, la neutralizzazione e la possibile riduzione degli esiti della patologia pregressa non possono essere assimilate, essendo diverse le conseguenze giuridiche dei due presupposti, e pertanto la loro eventuale equiparazione rappresenta un controsenso. Infatti, nel caso in cui l’intervento sanitario avrebbe neutralizzato la patologia pregressa, non sarebbe neanche sussistito un problema di concausa della lesione e conseguentemente la patologia pregressa sarebbe stata irrilevante ai fini della determinazione del danno risarcibile. Nel caso in cui, invece, l’intervento sanitario avrebbe soltanto ridotto le conseguenze dannose della patologia pregressa della madre, vi sarebbe stata comunque una causalità giuridica tra i danni subiti dal feto e la patologia pregressa.
La Corte ritiene quindi corretto concludere per la irrilevanza della patologia pregressa, sulla base dei seguenti principi di diritto:
– lo stato anteriore di salute della vittima di lesioni personali può concausare la lesione, ovvero, la menomazione che è derivata dalla lesione medesima;
– la concausa delle lesioni è giuridicamente irrilevante sul piano della causalità materiale; la menomazione preesistente può essere concorrente o coesistente con il maggior danno causato dall’illecito;
– saranno coesistenti le menomazioni i cui effetti invalidanti non mutano per il fatto che si presentino sole od associate ad altre menomazioni, anche se afferenti ai medesimi organi;
– saranno, invece, concorrenti le menomazioni i cui effetti invalidanti sono meno gravi se isolate, e più gravi se associate ad altre menomazioni, anche se afferenti ad organi diversi;
– Le menomazioni coesistenti sono, di norma, irrilevanti ai fini della liquidazione;
– Le menomazioni concorrenti vanno invece tenute in considerazione e devono essere valutate attraverso un triplice passaggio:
- in primo luogo, si deve valutare l’invalidità complessiva del soggetto, risultante dalla menomazione preesistente in aggiunta a quella causata dall’illecito, e convertirla in denaro;
- in secondo luogo, si deve valutare l’invalidità del soggetto preesistente all’illecito e convertirla in denaro
- infine, si deve sottrarre dall’importo complessivo ottenuto dal primo passaggio, l’importo ottenuto dal secondo passaggio. Il risultato ottenuto costituirà l’importo da liquidare a titolo di menomazione concorrente.
In conclusione, la Corte ha quindi censurato la pronuncia della Corte territoriale poiché non si è ispirata ai suddetti principi ritenendola quindi priva di motivazione, poiché non è riuscita a chiarire se l’intervento medico sarebbe stato idoneo a neutralizzare o a ridurre le conseguenze della patologia pregressa e conseguentemente a far discendere le conseguenze in punto di risarcimento.