AGGIORNAMENTO GIURIDICO
A cura dell’Avvocato Giovanni Meliadò e dell’Avvocato Vincenzo Campellone
Studio Legale Meliadò
Ricordiamo, in tema di Responsabilità Medica come la Suprema Corte abbia con due importanti Sentenze (Cass. Civ. Sez III n. 2334/2011 e Cass. Civ. Sez III n. 3847/2011) ricostruito i diversi profili di responsabilità del ginecologo, convenzionato o dipendente che sia, il quale si sia servito per il parto di una paziente della casa di cura privata.
Il rapporto tra paziente, medico e casa di cura privata è a tutti gli effetti un contratto plurilaterale e quindi la struttura sanitaria ha l’obbligo di informare il paziente su eventuali rischi connessi alle dimensioni o al proprio equipaggiamento non idonei a fronteggiare particolari situazioni patologiche o devianti dai principi previsti dalla legge.
Detta responsabilità grava evidentemente anche sul medico che abbia concluso un contratto di assistenza con la paziente, e ciò non solo per la natura plurilaterale del contratto, ma anche in virtù degli obblighi di protezione che, nei confronti della paziente e dei terzi, derivano da un contratto che abbia a oggetto tale tipo di prestazioni.
Pertanto, in caso di violazione dell’obbligo d’informazione, se il paziente fosse stato adeguatamente informato delle conseguenze derivate dalle carenze organizzative o di equipaggiamento della struttura, avrebbe potuto scegliere di non servirsene e di conseguenza sarà responsabile anche il medico col quale il paziente ha instaurato un rapporto di natura privatistica.
Quindi, in caso di danni al neonato, durante il parto ne risponde anche il medico ginecologo se, in riferimento alle evenienze del parto, abbia indirizzato la partoriente presso una clinica priva delle necessarie attrezzature ovvero abbia ritardato colpevolmente l’intervento cesareo necessario dopo l’esito di un esame che avrebbe invece consigliato l’immediato ricovero.
Nel primo caso di specie (Cass. Civ. Sez III n. 2334/2011) è stato accertato che il medico avesse conoscenza della sofferenza fetale che ha determinato la morte del bimbo dopo nove mesi di sofferenze e una grave encefalopatia; mentre nel secondo (Cass. Civ. Sez III n. 3847/2011) l’intervento di parto cesareo avrebbe dovuto essere immediato in quanto, come rilevato dalla Corte, un’estrazione precoce in una struttura correttamente attrezzata avrebbe potuto evitare e/o limitare il danno.
Appare inoltre opportuno rammentare che in un caso che presenta alcune analogie con quelli di specie, la Corte ha ritenuto «correttamente motivata la decisione di merito la quale abbia qualificato in termini di colpa grave la condotta del medico ostetrico che, dinanzi a un arresto della progressione del feto al momento del parto, abbia atteso più di tre ore prima di predisporre ed effettuare un intervento cesareo» (Cass. Civ. 9 maggio 2000, n. 5881).
La Suprema corte censurando la sentenza della Corte d’appello, ha ritenuto che in ogni caso il ginecologo ha l’obbligo di intervenire personalmente in caso di inerzia degli altri componenti l’équipe medica nell’effettuare manovre rianimatorie e/o comunque necessarie.
I consulenti tecnici, nel caso di specie, avevano accertato che dopo la nascita del neonato che presentava difficoltà respiratorie non era stata eseguita alcuna manovra di rianimazione primaria, aggravando le patologie ed eseguendo il trasferimento in sede attrezzata con ritardo. In particolare, i consulenti avevano accertato che la neonata non era stata incubata con respirazione assistita: ciò avrebbe consentito una immediata ossigenazione e ridotto le conseguenze patologiche poi riscontrate. La neonata, infine, era stata avviata a un centro dotato di idonee attrezzature con un ritardo di oltre quattro ore.
La Corte ha richiamato la ormai pacifica giurisprudenza in materia di responsabilità professionale medica, la quale presuppone la violazione dei doveri inerenti allo svolgimento della professione, tra cui il dovere di diligenza. Tale diligenza è del debitore qualificato, che comporta il rispetto delle regole tecniche obiettivamente connesse all’ esercizio della professione e ricomprende anche la perizia.
La limitazione di responsabilità alle ipotesi di dolo e colpa grave di cui all’articolo 2236 c.c. co. II, non ricorre con riferimento ai danni causati per negligenza o imperizia ma soltanto per i casi implicanti risoluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà che trascendono la preparazione media o non ancora sufficientemente studiati dalla scienza medica; quanto all’onere probatorio, spetta al medico provare che il caso era di particolare difficoltà e al paziente quali siano state le modalità di esecuzione inidonee ovvero a questi spetta provare che l’intervento era di facile esecuzione e al medico che l’insuccesso non è dipeso da suo difetto di diligenza.