A cura dell’Avvocato Giovanni Meliadò e dell’Avvocato Vincenzo Campellone
Studio Legale Meliadò
Dopo aver affrontato gli ultimi interventi giurisprudenziali di notevole interesse appare doveroso richiamare l’Ultima Sentenza della Suprema Corte su una tematica di estrema importanza, il Consenso informato.
Infatti, la Corte di cassazione nell’ordinanza 18283 depositata lo scorso 25 giugno ribaltando le decisioni del Giudice di prime cure e della Corte d’Appello ha ribadito gli obblighi che struttura sanitaria e medico hanno di informare il paziente circa la natura dell’intervento che intendono proporre ed eseguire, i suoi rischi, la portata dei possibili e probabili risultati conseguibili nonché delle implicazioni che si potrebbero verificare. Infatti, perché l’atto medico praticato sul paziente si possa ritenere lecito e svolto nel suo pieno e consapevole interesse occorre acquisire il suo «consenso informato»: che diventa ancora più cruciale nel momento in cui si propongono ai pazienti trattamenti sanitari non ancora consolidati.
Il caso ha visto una paziente subìre conseguenze da una terapia farmacologica prescritta da un medico in forza presso una struttura sanitaria, che le aveva compromesso le funzioni renali e la paziente lamentava di non essere stata preventivamente informata dei possibili rischi.
Nei primi due gradi di giudizio, pur essendo stata definita in fase istruttoria la correttezza della terapia farmacologica prescritta alla paziente, i giudici non avevano correttamente motivato le sentenze sul lamentato danno della non adeguatezza di consenso informato, poi ritenuta sussistente dalla Suprema Corte, non prestato adeguatamente da parte del medico nei confronti della paziente e proprio per questo motivo ha deciso di accogliere il ricorso.
La Cassazione ha puntualmente ricordato come “la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente circa i trattamenti sanitari che intende praticargli può causare sia un danno alla salute, da risarcire quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti, che un danno da lesione dell’autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale (e, in quest’ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute.”
Quello del consenso informato rappresenta un obbligo essenziale che laddove non evaso genera una responsabilità contrattuale o extracontrattuale a seconda che l’operatore abbia stipulato col paziente un contratto di servizi sanitari, o che operi strutturato nell’ospedale. Di conseguenza, in caso di contestazione da parte del paziente e quindi di sua allegazione dell’inadempimento all’obbligo informativo, graverà sull’ospedale (o sul medico che risponde a titolo di responsabilità contrattuale) l’onere di dimostrare di averlo validamente e compiutamente informato e di avere il paziente espresso un consenso consapevole.
Laddove l’omissione dell’acquisizione del consenso informato risulti provata, come nel caso di specie, scatta per i sanitari e per le aziende l’obbligo di risarcire il danno non patrimoniale legato alla lesione di un bene assoluto e protetto dalla legge, e che rientra nella sfera del danno morale soggettivo, la cui liquidazione è normalmente rimessa all’apprezzamento equitativo del magistrato.
L’istituto del consenso informato è oggi regolato dalla legge 219/2017, che ha recepito gran parte dell’impianto elaborato dalla giurisprudenza negli anni e che, all’articolo 1, prevede che ogni persona «ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi».
Il paziente, inoltre, «può rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole. Il rifiuto o la rinuncia alle informazioni e l’eventuale indicazione di un incaricato sono registrati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico».
Oltre a ciò è stato precisato in giurisprudenza che per essere validamente espresso il consenso deve essere personale, specifico ed esplicito, nonché reale ed effettivo, non essendo consentito il consenso presunto, né valido ed esaustivo quello contenuto in un modulo del tutto generico, da cui non sia possibile desumere con certezza che il paziente lo abbia consapevolmente prestato.
Infine è doveroso ricordare come la responsabilità da mancato assolvimento degli obblighi predetti sussista anche nel momento in cui non sia conseguito alcun miglioramento dal trattamento “non informato” e quindi sia emersa la sostanziale inutilità dello stesso, con tutte le conseguenze di carattere fisico (sofferenze, rischi e spese sostenute) e psicologico (timore per la persistenza della malattia e per la prospettiva di subire un nuovo intervento).