AGGIORNAMENTO GIURIDICO
A cura dell’Avvocato Giovanni Meliadò e dell’Avvocato Vincenzo Campellone
Studio Legale Meliadò
La Corte di Cassazione, con la recentissima Sentenza n. 7516/2018 è intervenuta sul tema del Consenso informato, chiarendo come l’informazione e la consapevolezza del paziente circa gli esiti di un trattamento medico possa essere provata anche per presunzioni.
Di conseguenza, e una volta accertata la piena conoscenza dei possibili esiti dell’operazione, il medico non potrà essere chiamato in causa per il risarcimento, e non perché la sua condotta sia scriminata, «ma perché qualsiasi conseguenza svantaggiosa dovrebbe ricondursi causalmente alle scelte consapevoli del paziente, piuttosto che al deficit informativo del medico».
La predetta Sentenza è intervenuta nell’ ambito di una richiesta di indennizzo di una donna che dopo essersi sottoposta ad un intervento di sterilizzazione era rimasta incinta.
La Corte d’Appello infatti, con valutazione di merito, aveva ritenuto che «dalle dichiarazioni rese dall’ attrice al c.t.u.; dalla narrativa dei fatti contenuta nelle richieste stragiudiziali di risarcimento inviate dall’ avvocato della paziente al chirurgo; dalla qualifica professionale della paziente (infermiera ostetrica)», poteva dedursi che ella «fosse consapevole delle caratteristiche e dei rischi dell’intervento di sterilizzazione».
La Suprema Corte ha precisato dunque come la Corte territoriale abbia ritenuto provata la piena consapevolezza della paziente circa la natura dell’intervento «non soltanto dalla sua qualità di ostetrica, ma da una serie di plurimi indizi, evidentemente ritenuti gravi, precisi e concordanti», con un apprezzamento di fatto.
Informare il paziente, chiarisce la Suprema Corte, «non è dunque un atto formale, né un rituale inutile. Esso serve a mettere il paziente in condizione di scegliere a ragion veduta».
Di conseguenza, laddove il paziente sia perfettamente a conoscenza dell’intervento cui debba essere sottoposto; quali ne siano le conseguenze, quali i rischi, quali le alternative (ad esempio, perché vi si è già sottoposto; perché è stato già informato da terzi; perché ha una competenza specifica su questa materia), «l’eventuale inadempimento, da parte del medico, dell’obbligo di informarlo è giuridicamente irrilevante, per l’inconcepibilità d’un valido nesso di causa tra esso e le conseguenze dannose del vulnus alla libertà di autodeterminazione».
La mancata informazione del paziente, infatti, è una condotta colposa che può produrre un danno giuridicamente rilevante, in quanto impedisce al paziente di autodeterminarsi in modo libero e consapevole.
Ma se il paziente è già, per qualsivoglia causa, perfettamente consapevole delle conseguenze delle proprie scelte, mai potrà pretendere alcun risarcimento da medico.
Sul punto, la Suprema Corte pone un parallelismo logico-giuridico adeguato, ovvero, «il compratore non può dolersi dei vizi della cosa sottaciuti dal venditore, se egli ne era comunque a conoscenza (art. 1491 c.c.); cosi come il committente non può dolersi delle difformità dell’opera, se l’ha accettata pur conoscendole (art. 1667 c.c.), allo stesso modo il paziente non può dolersi di non essere stato informato, se era già in possesso di tutte le informazioni che lamenta di non avere ricevuto dal sanitario».
Infine, conclude la decisione, «va distinto il consenso presunto all’ atto medico, ed il consenso provato in via presuntiva».
Mentre il consenso del paziente all’ atto medico non può mai ritenersi “presunto” (ad es. in base alle qualità soggettive del paziente); «è tuttavia consentito al medico o all’ ospedale, gravati dall’ onere di provare di avere informato il paziente, fornire tale prova in via presuntiva, ai sensi dell’art. 2727 c.c.».
Ciò infatti è avvenuto nel caso oggetto di giudizio, in cui, la Corte d’Appello, partendo da tre casi analogamente esaminati, ha valutato che la paziente fosse stata adeguatamente informata ed abbia avuto la piena consapevolezza dell’intervento eseguito su di essa.