AGGIORNAMENTO GIURIDICO
A cura dell’Avvocato Giovanni Meliadò e dell’Avvocato Vincenzo Campellone
Studio Legale Meliadò
WhatsApp è un app di messaggistica che permette di scambiare dati e messaggi in maniera rapida e diretta con il proprio interlocutore.
In una sanità sempre più congesta, quindi, questa app si mostra come una buona soluzione per ridurre il numero di visite superflue.
Infatti, se pur il suo impatto in ambito clinico è stato ancora poco studiato, sempre più sono i medici che ne usufruiscono.
Un’indagine dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano ha osservato addirittura come, il 42% dei medici utilizzi WhatsApp per comunicare con i propri pazienti e il 29%, pur non utilizzandolo attualmente, intende servirsi dell’app in futuro.
Negli ultimi anni si è passati pertanto da un rapporto del tutto asimmetrico tra il medico ed il paziente, in cui si manteneva quel distacco e divisione dei ruoli tale da esaurirsi al mero incontro, nel momento in cui, appunto, “si andava dal medico” a un momento di confronto in cui ormai l’informazione, costruttiva ma anche distorta, ha portato ad un necessario confronto pedissequo e perpetrato nel tempo.
L’utilizzo di WhatsApp racchiude in sé numerosi vantaggi, quanto meno teoricamente.
In effetti oltre a semplificare il contatto medico-paziente, per la semplicità d’uso potrebbe favorire la continuità del rapporto.
Questo, ad esempio, risulterebbe particolarmente efficace ed utile in soggetti con patologie croniche che comportano cure protratte e/o ripetute ospedalizzazioni.
In tal senso, quindi, facilita e rafforza il rapporto medico-paziente, tassello fondamentale nel percorso terapeutico, offrendo altresì la possibilità di scambiarsi file come cartelle cliniche ricette ecc.
È vero però anche che più volte lo Studio ha ricevuto richieste di consulenza da parte di clienti medici, a volte anche impauriti sull’utilizzo di WhatsApp nell’esercizio della propria attività medica.
Sarebbe opportuno a tal uopo approfondire gli obblighi/doveri del medico derivanti dalle richieste del paziente tramite WhatsApp, con un’analisi accurata che parta dal codice deontologico e applicata alle varie fattispecie/ipotesi di violazione delle stesse attraverso l’utilizzo della ormai monopolista app di comunicazione.
Si pensi agli articoli del codice deontologico medico applicato alle conseguenti responsabilità da malpractice medica più sensibili al tema ovvero:
Art. 8 – Doveri di intervento;
Artt. 11 e 12 – Riservatezza e trattamento dei dati;
Art. 13 – Prescrizione e diagnosi;
Art. 22 – Rifiuto della prestazione;
Art. 23 – Continuità delle cure;
Art. 33 – Obblighi di Informazione;
Art. 36 – Assistenza in caso di urgenza;
Art. 38 – Dichiarazioni Anteriori al trattamento;
Art. 59 – Rapporti con il medico Curante;
Art. 78 – Utilizzo delle Tecnologie Informatiche.
Ebbene Ob&Gyn in collaborazione con lo Studio Legale Meliadò si occuperà di organizzare appositi moduli volti ad approfondire detta tematica di attualità estrema.
Pensando a che valore legale abbiano i messaggi spediti e ricevuti via WhatsApp, è opportuno ricordare che nel nostro ordinamento vige il cd. principio di tipicità dei mezzi di prova, in base al quale possono avere accesso nel processo civile soltanto le prove espressamente previste e disciplinate dalla legge.
L’art. 2712 c.c. prevede che le riproduzioni meccaniche, fotografiche, informatiche (CAD) o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.
L’art. 2719 c.c. dispone inoltre che le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta.
Proprio partendo da tali disposizioni, la Cassazione aveva già riconosciuto pieno valore probatorio per gli SMS e per le immagini contenute negli MMS, ritenute “elementi di prova” integrabili con altri elementi anche in caso di contestazione (Cass. Civ. 11/5/05 n. 9884), chiarendo peraltro che in caso di disconoscimento della “fedeltà” del documento all’ originale, rientrerebbe nei poteri del Giudice accertare la conformità all’ originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. 26/01/2000 n. 866, ex multis).
Allo stesso modo, tali disposizioni normative sono state invocate con riguardo ai messaggi WhatsApp ai quali peraltro, costituendo documenti informatici (ormai equiparati ai documenti tradizionali ai sensi della L. 40/08) a tutti gli effetti, si applicano tutte le norme in materia presenti nel nostro ordinamento.
Tuttavia, se utilizzato inappropriatamente, WhatsApp include anche potenziali rischi.
I pazienti infatti non hanno la stessa percezione di un medico riguardo la rilevanza di una sintomatologia. Questo possibile utilizzo smisurato della messaggistica da parte del paziente espone a due potenziali problematiche.
In primis, tale app potrebbe risultare un potenziale elemento di disturbo dell’attenzione del medico rispetto alle visite in corso. In secondo luogo, vi è la possibilità che pazienti o familiari richiedano pareri clinici e indicazioni terapeutiche attraverso WhatsApp in assenza di motivi validi di urgenza.
Questo comporta ricadute sia sul piano professionale del medico che nell’ ambito della responsabilità medico-legale.
In effetti, da un lato non risulta definito se il medico abbia l’obbligo di rispondere a richieste di consultazione online e in quali tempi (esponendolo a conteziosi legali) e inoltre, interferirebbe negativamente sulla vita personale e familiare in quanto potrebbe essere contattato anche in momenti destinati al riposo.
Inoltre vi è il problema della privacy e della sicurezza di dati sensibili che con il Reg. UE 279/2016 (General Data Protection Regulation) ha inasprito notevolmente il trattamento dei dati personali, in particolare nelle modalità di consenso al trattamento del dato e successiva revoca.
La possibilità di ricevere durante l’orario di lavoro comunicazioni, attraverso lo smartphone, da parte di pazienti non direttamente presenti a una visita costituisce sia una risorsa sia un potenziale elemento di disturbo dell’attenzione rispetto alle visite e alla routine in corso.
Nonostante la raccomandazione di usare il telefono solo in caso di urgenza, i pazienti possono avere una percezione diversa rispetto ai clinici circa la necessità di consultazione o alla rilevanza di una condizione sintomatologica.
Dedicare spazio alla formazione dei clinici rispetto all’ impiego delle nuove tecnologie di comunicazione può contribuire a un migliore equilibrio fra il miglioramento dell’efficienza offerto da questi mezzi e la possibilità di un ulteriore elemento di disturbo dell’attività clinica oltre alle consuete difficoltà quotidiane.
Una criticità rilevante riguarda la tutela della privacy. WhatsApp è utilizzato da clinici e pazienti a scopi personali e professionali.
Se teoricamente infatti solo i destinatari delle conversazioni possono accedere ai dati, tuttavia esiste la possibilità di disseminazione incontrollata di informazioni personali.
Questa app, benché in grado minore rispetto ad altri social network, rende disponibili ai partecipanti alcune informazioni sensibili relative all’ interlocutore, in particolare: immagine del profilo; messaggio di stato; ora dell’ultimo collegamento; situazione di stato.
La disponibilità di questi dati, da cui è possibile desumere abitudini personali (ora di sveglia, ora in cui si va a dormire, abitudini e frequenza di collegamento, ecc.) può creare un illusorio sentimento di confidenza o fornire elementi di critica e controllo.
Occorre quindi particolare attenzione a mantenere i propri ruoli in caso d’impiego di tecnologie che forniscono occasioni per ridurre le usuali distanze professionali.
I clinici, in particolare, dovrebbero mantenere un atteggiamento di cautela nell’ avviare una conversazione mediante WhatsApp con un paziente, vista la possibilità di fraintendimenti rispetto alla partecipazione del sanitario a una dimensione di vita privata fuori dal setting clinico.
Un problema sul piano professionale e della responsabilità medico-legale riguarda la possibilità che pazienti o familiari richiedano pareri clinici e indicazioni terapeutiche attraverso WhatsApp oppure comunque fuori dai canali istituzionali (visite o reperibilità telefonica).
Rispetto ad altri canali come le e-mail, questa applicazione offre la possibilità di sapere se il destinatario ha letto il messaggio (salvo se le impostazioni della privacy del destinatario non siano settate appositamente in modo diverso) e per un clinico può essere vissuto come un problema dover rispondere a una richiesta presentata come urgente attraverso un mezzo di comunicazione personale.
Non risulta definito in modo univoco in termini etici se il medico abbia l’obbligo di rispondere a richieste di consultazione online e in quali tempi.
Si tratta di un aspetto non privo d’implicazioni legali e che espone il clinico a essere interpellato professionalmente anche in momenti destinati al riposo e con possibili ricadute sulla vita personale e familiare.
È in generale utile che i clinici chiariscano ai pazienti che ogni consiglio terapeutico non può invece prescindere da una valutazione clinica completa, in un setting idoneo, che comprenda un contatto diretto, la possibilità di praticare un esame obiettivo e la disponibilità della cartella clinica; ogni richiesta dovrebbe quindi essere indirizzata a una consultazione clinica non virtuale.
Se pur al momento non ci sono studi di efficacia in ambito clinico, WhatsApp è a oggi uno strumento di comunicazione sempre più utilizzato da medici e pazienti.
Come abbiamo potuto osservare presenta ampi margini d’impiego ma anche problematiche.
Queste ultime potranno essere evitate solo con un ragionevole utilizzo da parte del medico che dovrà, a sua volta, educare il paziente nell’ uso della messaggistica istantanea. Anche lo sviluppo di una regolamentazione e la creazione di un’ app da utilizzare in ambito esclusivamente medico potrebbe rivelarsi una soluzione ad alcune problematiche.
Bisogna tuttavia sottolineare che mezzi di comunicazione come WhatsApp devono solo rappresentare un sostegno all’ attività medica e mai sostituire le interazioni reali tra medico e paziente.