AGGIORNAMENTO GIURIDICO
A cura dell’Avvocato Giovanni Meliadò e dell’Avvocato Vincenzo Campellone
Studio Legale Meliadò
Con una recente interpretazione (Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Ordinanza 23 marzo 2018, n. 7251) la Suprema Corte ha chiarito come: “Non è possibile ravvisare una responsabilità medica nel caso in cui il neonato sia venuto alla luce con gravi patologie ma lo staff medico aveva messo in guardia i genitori sulle problematiche, dicendo loro che ci sarebbero state addirittura poche chance di sopravvivenza.”
Con citazione notificata il 4 settembre 2007, marito e moglie in proprio e nella loro qualità di genitori convennero dinanzi al Tribunale di Torino l’Azienda Sanitaria Ospedaliera e la Regione Piemonte al fine di sentirle condannare al risarcimento di tutti i danni da essi patiti a causa della errata, negligente ed imperita assistenza al parto del figlio da cui era conseguita in capo a quest’ultimo una grave encefalopatia con idrocefalo e tetra paresi spastica.
Si costituì la convenuta Azienda chiedendo il rigetto della domanda, ammessa ed esperita la Consulenza Tecnica d’Ufficio e assunte le prove testimoniali, parte attrice in via incidentale propose querela di falso in merito alla cartella clinica, ai due esami diagnostici, al tracciato della registrazione cardiotocografica e all’esame istologico della placenta.
Il Tribunale di Torino con sentenza 17 settembre 2011 respinse preliminarmente l’eccezione di nullità della citazione proposta dalla parte convenuta, accolse l’eccezione di prescrizione sollevata dall’ Azienda ospedaliera, rilevando che l’azione era da qualificarsi come extracontrattuale e che, decorrendo la prescrizione dalla nascita, l’azione extracontrattuale era prescritta e nel merito, rilevò che parte attrice aveva evidenziato due profili di responsabilità dei medici: in primo luogo, per non aver diagnosticato la presenza di una placenta previa e quindi per non aver approntato i rimedi utili per il trattamento di tale patologia; in secondo luogo, per la mancata assistenza al paziente dalle 14,00 alle ore 15,40 avendo praticato il parto cesareo con ritardo, nonostante la paziente avesse delle perdite ematiche fin dalle 14,00; che peraltro dalle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio era emerso: che si trattò di prestazione medica di speciale difficoltà; che non vi era una placenta previa, ma una placenta marginale laterale; che si era verificato un distacco placentare improvviso e inatteso; che non sarebbe stato possibile intervenire con un parto cesareo dopo 10 minuti dell’episodio emorragico; che comunque, se fosse stato vero che la paziente fosse stata sottoposta a parto cesareo soltanto dopo un’ora e 40 minuti, come la stessa sosteneva, vi sarebbero state poche chances di sopravvivenza del neonato, se non addirittura la certezza che il feto sarebbe deceduto. Pertanto il Tribunale respinse la domanda e compensò integralmente le spese tra le parti.
Avverso tale decisione gli attori proposero impugnazione dinanzi la Corte d’Appello di Torino che, di fatto, confermò la decisione dei giudici di prime cure.
Ebbene, i genitori proposero Ricorso alla Suprema Corte di Cassazione, che ha rigettato integralmente il ricorso, rilevando nel merito come, la Corte territoriale, abbia mostrato di aver debitamente esaminato le risultanze probatorie emergenti dall’ istruttoria esperita, non incorrendo in alcuna omissione riguardante un fatto che, se analizzato, avrebbe potuto comportare una decisione diversa.
In particolare, la Corte di merito ha esaminato gli accertamenti svolti dalla CTU e in ordine alle incongruenze rilevate in ordine agli orari del tracciato cardiotoecografico, ha ritenuto che esse non avessero rilevanza ai fini della dimostrazione della responsabilità dei sanitari tenuto conto che, come già condivisibilmente evidenziato dal giudice di prime cure, la CTU svolta in primo grado aveva osservato che “ancorché l’annotazione riportata sul diario clinico possa essere ritenuta non rispondente al vero nella sua collocazione oraria, vi sono stati due professionisti che, in rapida successione, avevano visitato la paziente e, nel volgere di cinque minuti, avevano rilevato la rapida evoluzione verso un quadro di brachicardia fetale e che, se tale condizione fosse perdurata per un’ora e 40 (così come indicato dalla parte attrice e dai suoi consulenti) vi sarebbero state poche chance di sopravvivenza per il neonato, se non addirittura certezza che il feto sarebbe deceduto”.