Bottoni C., Scambia G, Fagotti A, Petrillo M.
Expert Opin Drug Saf. 2018 Nov;17(11):1107-1113
A cura della Dottoressa Francesca Ciccarone
INTRODUZIONE
Nell’ultimo decennio, gli agenti antiangiogenici sono stati introdotti progressivamente nella gestione del carcinoma ovarico avanzato e ricorrente, cosi che il Bevacizumab in associazione alla chemioterapia standard rappresenta oggi un regime raccomandato in diversi contesti clinici [1], comprese le donne con diagnosi iniziale della malattia di stadio III-IV e le pazienti con recidiva sensibile o resistente al platino.
Diversi studi hanno dimostrato che, come per altri agenti antiangiogenici, le tossicità più rilevanti associate all’ uso del Bevacizumab coinvolgono le sedi vascolari e gastrointestinali, che portano ad eventi avversi non comuni, ma potenzialmente letali come il tromboembolismo e la fistola intestinale [2].
Al fine di chiarire il profilo di sicurezza nell’ uso del Bevacizumab, gli autori hanno riassunto le principali evidenze legate alla somministrazione del farmaco nelle donne con carcinoma ovarico, concentrandosi sull’ impatto nelle donne fragili e fornendo così un punto di vista oggettivo su questo tema molto dibattuto.
PROFILO DI TOSSICITÀ: MAGGIORI PROBLEMATICHE
Nel panorama odierno, sei studi clinici multicentrici randomizzati (RCT) hanno valutato la sicurezza e l’efficacia di somministrazione del Bevacizumab (GOG218, ICON7, AURELIA, OCEAN, ROSIA e GOG213) in diversi contesti clinici.
I principali eventi avversi osservati in seguito all’infusione di Bevacizumab sono: sanguinamento, ritardata guarigione delle ferite, proteinuria, ipertensione, tromboembolismo artero-venoso (AVTE) e perforazione gastrointestinale (GI). [1]
Questi ultimi due eventi comportano spesso un pericolo di vita e richiedono interventi chirurgici con frequentemente conseguenze a lungo termine (Tabella 1).
Nell’ ambito del trial GOG-218, 1873 donne affette da carcinoma ovarico stadio FIGO III-IV sono state assegnate a ricevere come trattamento di prima linea carboplatino-paclitaxel con o senza Bevacizumab.
Nonostante la notevole percentuale di eventi avversi complessivi, solo una piccola parte delle donne ha interrotto la terapia angiogenica a causa di tossicità.
Inoltre, l’incidenza degli eventi avversi era simile nelle pazienti che ricevevano o non ricevevano Bevacizumab [3].
Differenti risultati sono stati riportati nello studio ICON7, che ha indagato il ruolo del Bevacizumab come trattamento di prima linea in pazienti con malattia avanzata.
I risultati hanno sottolineato la rilevanza degli eventi avversi vascolari nel profilo di sicurezza del farmaco, in particolare quando somministrati nel contesto di un trattamento iniziale [4].
Più recentemente, sono stati forniti ulteriori dati dallo studio ROSiA, uno studio prospettico di fase III a braccio singolo finalizzato a valutare la sicurezza e l’efficacia dell’estensione della terapia con Bevacizumab oltre i 15 mesi.
Gli eventi avversi nel tratto gastrointestinale hanno mostrato una bassa incidenza, ma stabile, in tutti i periodi dello studio, mentre l’insorgenza di eventi tromboembolici era più comune durante la somministrazione concomitante di chemioterapia con Bevacizumab, rispetto al periodo di mantenimento [5].
Passando dalla malattia iniziale alla recidiva, lo studio AURELIA ha valutato l’efficacia, la sicurezza e la qualità di vita della combinazione di Bevacizumab con la chemioterapia nei pazienti refrattari al platino.
I risultati di questo trial randomizzato non hanno mostrato differenze in termini di eventi AVTE tra i due bracci di trattamento, mentre la perforazione GI di grado 2 si è verificata in 4 pazienti (2,2%) trattati con Bevacizumab (grado≥3, 1,7%) e in nessuna delle pazienti che aveva ricevuto solo la chemioterapia, con una differenza statisticamente significativa tra i due gruppi [6].
Analogamente, nel contesto della malattia ricorrente sensibile al platino, i risultati dello studio OCEANS, confrontando l’efficacia e la sicurezza di Bevacizumab/Gemcitabina/Carboplatino con Gemcitabina/Carboplatino, hanno mostrato una maggiore incidenza di eventi che interessano il tratto gastrointestinale e AVTE nel braccio di Bevacizumab rispetto al gruppo di controllo, raggiungendo significatività statistica solo per quest’ultima [7].
Nello stesso contesto clinico, lo studio randomizzato di fase III GOG213 ha esplorato il ruolo della chirurgia citoriduttiva secondaria in 674 donne con malattia platino-sensibile e la proporzione di pazienti con un evento avverso grave (≥ 3 di grado) era più alta nel gruppo Bevacizumab rispetto a quello di controllo (AVTE si è verificato in una percentuale del 4% rispetto all’1%, mentre la perforazione GI / fistola si è verificata nel 15% rispetto al 4%) [8].
FRAGILITA’ E BEVACIZUMAB
Donne anziane
La sicurezza del Bevacizumab nelle donne anziane rappresenta un problema emergente nell’oncologia ginecologica.
In questo contesto, è stata recentemente pubblicata un’analisi nei sottogruppi dello studio ROSiA che ha valutato i risultati delle donne in base all’età della paziente (Tabella 2).
Le pazienti più anziane hanno presentato un’incidenza più elevata di anemia di tutti i gradi, diarrea e astenia, così come ipertensione di grado ≥3 ed eventi tromboembolici rispetto alle pazienti più giovani.
Ulteriori studi hanno permesso di concludere che l’età non sembra essere una controindicazione per l’uso del Bevacizumab in pazienti di età pari o superiore a 70 anni, ma data la maggiore prevalenza di ipertensione pre-trattamento, le pazienti anziane devono essere monitorate più attentamente durante il trattamento con Bevacizumab.
Patologie del tratto Gastrointestinale
Come accennato in precedenza, gli eventi avversi del tratto gastrointestinale rappresentano una delle tossicità più invalidanti nelle pazienti con carcinoma ovarico trattate con Bevacizumab [9], pertanto, è cruciale identificare i fattori di rischio per le complicanze gastrointestinali, consentendo così di personalizzare la scelta terapeutica nelle pazienti più deboli (Tabella 3).
In particolare, nel 2014 il Gynecologic Oncology Group ha condotto una sotto analisi dello studio di prima linea di fase III (GOG-0218), che assegnava casualmente le pazienti ad uno dei tre regimi postoperatori: sei cicli di chemioterapia intravenosa con Carboplatino-paclitaxel (R1); 6 cicli di chemioterapia più Bevacizumab (R2); 6 cicli di chemioterapia più Bevacizumab e 22 cicli di mantenimento con Bevacizumab (R3) [3].
L’analisi dei dati ha mostrato un’associazione tra l’evento avverso GI e precedenti diagnosi di malattie infiammatorie intestinali o chirurgia di resettiva a carico dell’intestino tenue o crasso.
Inoltre l’analisi multivariata ha stimato che il Bevacizumab aumenta indipendentemente l’incidenza di un evento avverso GI di 2,15 volte (valore p= 0,032).
Questi dati suggeriscono che le donne affette da carcinoma ovarico con precedente storia di malattie infiammatorie rappresentano un gruppo clinico più debole che deve essere attentamente monitorato durante il trattamento.
BEVACIZUMAB E CHIRURGIA CITORIDUTTIVA
Dato che circa l’80% delle pazienti affette da carcinoma ovarico riceve solitamente una chirurgia citoriduttiva prima o dopo la somministrazione di Bevacizumab, si sollevano problemi riguardanti l’impatto degli agenti antiangiogenici sulla sicurezza del debulking chirurgico.
Celeen et al. hanno osservato un aumento di morbidità post-operatoria in donne che hanno ricevuto chirurgia d’intervallo (IDS) dopo chemioterapia neoadiuvante a base di Bevacizumab.
La complicanza chirurgica più frequentemente osservata dopo chemioterapia con Bevacizumab è rappresentata dalla deiscenza/ritardo nella guarigione della ferita, mentre l’incidenza di questo evento avverso è risultata trascurabile nelle pazienti trattate con regimi neoadiuvanti convenzionali a base di carboplatino-paclitaxel.
Tuttavia, Duska et al., in un’analisi post-hoc dei dati del GOG-218 hanno riportato dati incoraggianti dimostrando che l’incorporazione di Bevacizumab nei regimi di prima linea convenzionali non implica un aumento del rischio di riammissione o complicanze postoperatorie [10].
Infine, una questione cruciale da affrontare è la tempistica corretta tra la chirurgia di debulking e l’ulteriore terapia antiangiogenica.
Riguardo a questo punto specifico, una precoce somministrazione di Bevacizumab dopo l’intervento di debulking è stata correlata ad un più alto tasso di complicanze nei primi 40 giorni dopo l’intervento [11].
Pertanto, questo intervallo di tempo è stato ampiamente riconosciuto come la soglia più appropriata da considerare prima di riavviare il farmaco dopo la chirurgia citoriduttiva.
BEVACIZUMAB E MALATTIA RICORRENTE
Diversi RCT hanno chiaramente dimostrato un vantaggio significativo in termini di sopravvivenza libera da progressione nelle pazienti trattate con Bevacizumab sia per nuova diagnosi che per recidiva di malattia.
Tuttavia, è stato osservato un tasso maggiore di recidive polmonari e pleuriche in donne con malattia avanzata che avevano ricevuto Bevacizumab come trattamento di prima linea rispetto alle pazienti trattate con regimi chemioterapici standard [12], suggerendo quindi che le terapie di mantenimento con agenti antiangiogenici possano favorire lo sviluppo di recidive più aggressive.
È stato dimostrato inoltre che l’incorporazione di Bevacizumab nel trattamento di prima linea può esercitare un’ulteriore pressione selettiva che conduce allo sviluppo di recidive più aggressive in particolare dopo la sospensione di mantenimento.
Quando il trattamento di mantenimento del farmaco è stato avviato, deve essere posta molta cautela prima di interrompere prematuramente il farmaco a causa degli effetti collaterali, poiché ciò potrebbe comportare un potenziale effetto negativo sulla sopravvivenza.
Recentemente, l’efficacia del Bevacizumab nelle donne con malattia ricorrente sensibile al platino è stata ulteriormente supportata dai risultati dello studio clinico randomizzato di fase 3 MITO16B che ha documentato un miglioramento breve, ma statisticamente significativo di 3 mesi in termini di sopravvivenza libera da progressione nelle donne che ricevono regime convenzionale più Bevacizumab (8,8 vs 11,8 mesi, p ≤ 0,001) [13].
Inoltre, gli autori non hanno osservato alcun aumento dell’incidenza di recidiva diffusa dopo somministrazione di Bevacizumab.
OPINIONI ESPERTE
Nell’ultimo decennio, l’inserimento del Bevacizumab nei regimi tradizionali a base di platino ha rappresentato uno dei progressi più rilevanti nella gestione medica delle pazienti affette da carcinoma ovarico di nuova diagnosi o recidivante.
L’ipertensione arteriosa e la proteinuria, con un’incidenza di circa il 10%, rappresentano gli effetti collaterali più comuni, mentre è stato ampiamente dimostrato che la somministrazione di Bevacizumab non si associa ad un aumento delle complicanze postoperatorie dopo chirurgia citoriduttiva.
La tromboembolia arteriosa e la perforazione/fistola gastrointestinale che si verificano in circa il 3% dei pazienti affetti da carcinoma ovarico trattate con Bevacizumab rappresentano eventi potenzialmente letali che richiedono sempre la sospensione del farmaco.
In particolare, al fine di poter prevenire tali eventi, appare necessario un monitoraggio più attento in gruppi selezionati di donne, tra cui le pazienti con malattia infiammatoria intestinale o ipertensione non controllata.
L’età non rappresenta una controindicazione alla somministrazione del Bevacizumab, tuttavia le donne anziane devono essere attentamente valutate prima di iniziare il farmaco data la più elevata incidenza di ipertensione arteriosa e diabete in scarso compenso.
BIBLIOGRAFIA
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