a cura dell’ Avv. Giovanni Meliadò e dell’ Avv. Antonella Marzio Studio Legale Meliadò
La Cassazione, recentemente, ha emesso un’interessante pronuncia in materia di “nascita indesiderata”, ricorrente quando, a causa del mancato rilievo dell’esistenza di malformazioni congenite del feto, la gestante perda la possibilità di interrompere la gravidanza.
Il caso, da cui trae spunto l’Ordinanza, riguarda l’ipotesi di una richiesta di danni dei genitori nei confronti del primario di Ostetricia e Ginecologia, del Direttore del Laboratorio di Analisi nonché dell’Azienda U.S.L., conseguenti alla nascita della figlia, affetta da sindrome di Down.
I genitori, in particolare, assumevano che la madre era stata avviata al parto, senza che fossero stati disposti approfondimenti, benché i risultati degli esami ematochimici effettuati alla sedicesima settimana avessero fornito valori non rassicuranti.
Il collegio ha rilevato, rimettendo la questione alle Sezioni Unite, che – pur se è pacifico che spetta alla donna l’onere di dimostrare che l’accertamento dell’esistenza di anomalie o malformazioni l’avrebbe indotta ad interrompere la gravidanza e, altresì, che la conoscenza di tali elementi avrebbe generato nella gestante uno stato patologico tale da mettere in pericolo la sua salute fisica o psichica – vi è contrasto allorquando si tratta di individuare il tipo e, più specificamente, il contenuto della prova richiesta alla madre:
– un primo e più risalente orientamento ritiene “corrispondente a regolarità causale che la gestante interrompa la gravidanza se informata di gravi malformazioni del feto” (Cass. n. 6735/2002, ribadita da Cass. n. 14488/2004, Cass. n. 13/2010 e da Cass. n. 15386/2011);
– altri orientamenti, Cass. n. 16754/2012, hanno, invece, evidenziato come in mancanza di una preventiva “espressa e inequivoca dichiarazione della volontà di interrompere la gravidanza in caso di malattia genetica” la mera richiesta di un accertamento diagnostico costituisca un “indizio isolato… del fatto da provare (l’interruzione di gravidanza)”, con la conseguenza che “è onere della parte attrice allegare e dimostrare che, se fosse stata informata delle malformazioni del concepito, avrebbe interrotto la gravidanza”.
È evidente che l’eventuale decisione delle Sezioni Unite avrà una notevole rilevanza nei contenziosi aventi ad oggetto il risarcimento del danno da nascita indesiderata. In effetti, qualora la Cassazione ritenesse che la prova della volontà di interrompere la gravidanza non possa essere desunta dal solo fatto che la gestante abbia chiesto di sottoporsi a esami volti ad accertare l’esistenza di eventuali anomalie del feto, l’onere probatorio a carico dei genitori, necessario all’accoglimento della domanda di risarcimento del danno sarà più gravoso e circostanziato.
In tal caso, non potendo riconoscersi un’automaticità nei concetti “richiesta di diagnosi = interruzione di gravidanza in caso di diagnosi di malformazioni” processualmente sarà onere dei genitori integrare il contenuto di quella presunzione con elementi ulteriori da sottoporre all’esame del giudice per una valutazione finale della volontà del genitore.
Di conseguenza, la Struttura Sanitaria e il Personale Sanitario non rischieranno di dover corrispondere risarcimenti del danno sulla base di mere presunzioni, in quanto il Giudice indagherà e valuterà l’effettiva volontà della madre di interrompere la gravidanza qualora a conoscenza di malattie genetiche del feto sulla base di più elementi di prova che dovranno fornire i genitori ai fini dell’accoglimento delle loro richieste.