AGGIORNAMENTO GIURIDICO
A cura dell’Avvocato Giovanni Meliadò e dell’Avvocato Vincenzo Campellone
Studio Legale Meliadò
La Suprema Corte di Cassazione con la recentissima Sentenza n. 5004 del 28 febbraio 2017 ha segnato un’importante decisione in tema di responsabilità medico professionale, e più specificatamente, nella sussistenza della violazione da parte del Ginecologo del diritto di informazione alla paziente in gravidanza, per averla semplicemente indirizzata al laboratorio diagnostico, e non ad altro specialista maggiormente qualificato, privandola di un adeguato consenso informato per danni patiti dal nascituro.
La vicenda fonda le proprie basi dal lontano 2003, allorché, due genitori esercenti la potestà sulla figlia minore, nata nel 1995, convennero in giudizio il ginecologo, il genetista e il laboratorio di diagnostica, ove (in ragione della consanguineità esistente all’ interno della famiglia del marito), il ginecologo, che seguiva la signora alla sua prima gravidanza, la indirizzò per sottoporsi all’ esame del liquido amniotico (amniocentesi).
Dall’ esame risultò che il feto presentava un’alterazione cromosomica, la trisomia X, ma, nell’assunto degli attori, non fu portato a conoscenza dei futuri genitori da nessuno dei predetti professionisti che dalla medesima alterazione potessero derivare alla nascita, in una certa percentuale di casi, danni mentali anche gravi a carico del bambino.
Il ginecologo, costituitosi in giudizio, assumeva di non essere a conoscenza della consanguineità tra i coniugi, di aver comunicato l’esistenza della trisomia X alla paziente e al marito, e di aver comunicato al contempo che nella maggior parte dei casi essa non si accompagnava a specifiche anomalie.
Sia il genetista, che il laboratorio di diagnostica, affermavano di aver solo eseguito dapprima l’ecografia e poi il prelievo del liquido amniotico e sostenendo che l’esame del liquido era stato condotto dai tecnici di laboratorio e affermando che i genitori avevano ricevuto informazioni dal laboratorio di genetica sulla esistenza della trisomia X, ed avevano deliberatamente e liberamente scelto di non interrompere la gravidanza.
All’esito del giudizio di primo grado, il tribunale rigettava la domanda della minore e condannava i tre convenuti principali in solido a risarcire il danno in favore della madre, nella misura complessiva di euro 33.000 circa, e in favore del padre nella misura di euro 28.000 circa (a fronte di una domanda per 13 milioni di euro complessivi).
I genitori proponevano appello, sia in proprio che nella qualità di genitori della minore, mentre gli originari convenuti proponevano appello incidentale.
La sentenza di appello, n. 2661 del 2012 della Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava integralmente la domanda dei genitori e della minore, affermando che il ginecologo assolse sufficientemente al suo dovere di informazione, informando la paziente della presenza di una alterazione cromosomica, prospettandole la possibilità dell’aborto terapeutico ed indirizzandola presso il consultorio di genetica onde potersi informare più dettagliatamente sulla trisomia X; che la paziente si recò al consultorio di genetica, fu qui rassicurata e sulla base delle informazioni acquisite al consultorio di genetica decise di portare avanti ugualmente la gravidanza; ed inoltre che né il consultorio né il genetista avevano un obbligo contrattuale di fornire ulteriori informazioni, atteso che la paziente aveva un suo ginecologo di fiducia, che avrebbe dovuto esaminare le risultanze dell’amniocentesi e spiegarne nel dettaglio il significato alla paziente e che pertanto, avendo il ginecologo, che non aveva competenze specifiche sulla trisomia x, indirizzato la paziente al laboratorio di genetica per ulteriori informazioni, il professionista aveva assolto in tal modo ai suoi obblighi informativi.
La sola madre, in proprio e nella potestà della figlia minore propone ricorso dinanzi la Suprema Corte di Cassazione che, ribaltando la decisione dei Giudici d’Appello, ritenendola contraddittoria e in violazione di Legge, è addivenuta alla decisione secondo cui: “Il comportamento dello specialista di fiducia-ginecologo che a fronte di una, per quanto rara, alterazione rinvii per più dettagliate informazioni la paziente non a uno specialista dell’alterazione stessa, ove lo ritenga necessario perché sia data un’informazione di maggior competenza dopo la propria informazione generale sulle ricadute dell’alterazione cromosomica, ma a soggetto non maggiormente specializzato e neppure legato alla paziente da un pregresso rapporto fiduciario, come il laboratorio di analisi, non integra un idoneo assolvimento dei doveri di informazione e non libera il professionista dalla sua responsabilità per mancata formazione di un consenso informato.”
Ebbene, risulta chiaro come la Suprema Corte di Cassazione abbia voluto evidenziare che il compito del professionista di fiducia non si esaurisce nell’ indicare alla paziente la presenza di una alterazione genetica, ma esso deve essere necessariamente comprensivo, in particolare ove gli sia stato richiesto, di un approfondimento, tale da permetterle una scelta ponderata sia sulla interruzione della gravidanza che sulla prosecuzione e le problematiche ad essa connesse.