AGGIORNAMENTO GIURIDICO
A cura dell’Avvocato Giovanni Meliadò e dell’Avvocato Vincenzo Campellone
Studio Legale Meliadò
In tema di aggiornamenti giuridici lo Studio ha selezionato una recente Sentenza della Suprema Corte di Cassazione che, ancora una volta, è tornata sull’ essenziale elemento ai fini della sussistenza della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, tra condotta omissiva ed evento dannoso, il cui manifestarsi ha poi comportato conseguenze di vario genere.
Nel caso che ci occupa, le conseguenze verificatesi sono state mortali, in quanto, è stato contestato sia in primo grado che in appello, ad una specialista pediatra in servizio, di avere colposamente omesso di valutare personalmente, le condizioni cliniche di una bambina affetta da Trisomia 21 c.d. “sindrome di Down”, ricoverata con diagnosi iniziale di gastroenterite, con progressivo peggioramento delle sue condizioni cliniche, fino al decesso avvenuto per arresto cardio-respiratorio cagionato dall’ eccessiva e troppo rapida integrazione idrica, prescritta come terapia per la gastroenterite.
In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto l’esistenza di una condotta omissiva in capo all’ imputata per non essersi preoccupata di esaminare i risultati delle analisi tempestivamente, alla luce dei deficit del sistema immunitario e cardio-circolatorio, propri della sindrome di Down.
La bambina era stata visitata per circa un’ora (dalle 14 alle 15) e ricoverata con diagnosi di gastroenterite, con prescrizione di prelievo del sangue per le analisi di routine; dalla cartella clinica risultava che la bimba era entrata con i sintomi di febbre, vomito e diarrea e che le sue condizioni generali erano modicamente scadute.
Dopo la visita l’imputata aveva prescritto una terapia di reidratazione forte, da effettuarsi via endovena e tachipirina da somministrare al bisogno, terapia che, secondo le sentenze di merito, ha determinato lo scompenso cardiocircolatorio che condusse all’exitus (dato confermato dal riscontrato edema cerebrale, dal rilevante peso del cervello e dal versamento pleurico).
Entrambe le Sentenze di merito, specificavano come, un tempestivo apprezzamento delle analisi del sangue da parte dell’imputata le avrebbe consentito di disporre accertamenti immediati (quali una radiografia toracica e la verifica della funzionalità del rene) idonei a rivisitare la decisione di praticare la terapia di forte reidratazione.
La difesa della Dottoressa ha sostenuto come, l’incompletezza della cartella clinica non abbia consentito alla stessa di apprendere che la bambina avesse subito un intervento al cuore per una grave patologia cardiaca e che fosse sottoposta a terapia antibiotica già da diversi giorni per febbre, faringite e arrossamento della membrana timpanica sinistra.
La Suprema Corte ha ritenuto come, la sentenza impugnata, non abbia adeguatamente valutato che l’imputata non avesse avuto conoscenza d’informazioni anamnestiche rilevanti sullo stato della bambina, non riportate in cartella clinica, nonostante la paziente fosse stata sottoposta, all’ inizio del suo turno, a una visita accurata da parte di una Collega, dando peso eccessivo all’ esito delle analisi del sangue, la cui urgenza è risultata palesemente smentita dalla documentazione acquisita e dalle deposizioni assunte in istruttoria.
Di conseguenza, il principale profilo di colpa attribuito alla pediatra è frutto di un ragionamento illogico, il cui percorso è viziato da travisamento delle prove (situazione di urgenza/emergenza smentita dai dati probatori acquisiti), da considerazioni apodittiche e congetturali (su patologie legate “frequentemente” ma non sempre – a sindrome di Down) e da argomentazioni che omettono di considerare e valutare, con prudente apprezzamento, le peculiarità del caso concreto (bimba già visitata da altra collega, diagnosi di gastroenterite trattata con terapia specifica, patologia cardiaca non indicata in cartella ecc.).
In buona sostanza, non è dato comprendere dalla motivazione della sentenza impugnata sulla base di quali elementi scientifici, si trae la convinzione che se l’interruzione del trattamento fosse avvenuta circa quaranta minuti prima di quanto effettivamente disposto da parte della ricorrente, si sarebbe avuto un sicuro effetto salvifico che avrebbe impedito, con alta probabilità logica, il decesso della paziente.
La Corte ha poi proseguito ribadendo il principio secondo cui: “nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’ analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto”.
Accogliendo con rinvio alla Corte Territoriale, il ricorso della Dottoressa e concludendo come, il necessario nesso causale fra omissione ed evento vada accertato sulla base di dati scientifici corroborati da elementi indiziari, nel caso totalmente pretermessi e non indicati nel percorso logico-motivazionale della sentenza impugnata.