AGGIORNAMENTO GIURIDICO
A cura dell’Avvocato Giovanni Meliadò e dell’Avvocato Vincenzo Campellone
Studio Legale Meliadò
Nell’ Ospedale Civile di Caserta, nei primi anni 2000 venne alla luce un bimbo, che a causa delle difficoltà espulsive insorte durante il parto patì una grave lesione del plesso brachiale destro, con esiti invalidanti permanenti.
I genitori in giudizio, sostennero che la lesione del plesso brachiale patita dal proprio figlio andasse ascritta a colpa dei sanitari dipendenti della ASL convenuta, i quali, non seppero diagnosticare tempestivamente la macrosomia del feto e scelsero di conseguenza di far partorire la donna per via naturale, anziché con parto cesareo.
Sia il Tribunale prima, nel 2006, che la Corte d’Appello di Napoli, nel 2013, hanno rigettato le domande dei genitori del bambino.
In particolare, la Corte d’Appello ammettendo l’esistenza del nesso di causa tra il parto e la distocia di spalla, ha eslcuso la colpa dei sanitari, sul presupposto che non avrebbe costituito né imprudenza, né negligenza, né imperizia, la scelta di far avvenire il parto per via naturale. Ciò perchè, all’ epoca dei fatti, non esisteva un esame sicuro per prevedere con certezza la macrosomia del feto, non vi era alcun dato clinico che consentisse ai sanitari di sapere se la donna avesse il diabete mellito (il quale è un indizio della macrosomia fetale), la donna aveva già avuto un parto senza problemi, all’esito del quale diede alla luce un bimbo del peso di quattro chili, e dunque non si poteva sospettare alcuna sproporzione tra le dimensioni del feto e il canale del parto; soprattutto, la donna si presentò in ospedale a membrana già rotta e a travaglio già iniziato, ed il parto avvenne soli 30 minuti dopo il ricovero: sicché, in questo tempo così breve, i sanitari non avrebbero potuto obiettivamente evidenziare alcuna anomalia nella progressione dell’espulsione.
I genitori del bambino impugnarono la decisione della Corte d’Appello, dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, la quale con la recentissima Sentenza pronunciata lo scorso 9 Novembre, ha rigettato il ricorso, rimarcando una serie di principi importanti.
I genitori, in particolare hanno denunciato la violazione degli articoli 1176, 1218, 1223, 2043, 2697, 2727 e 2729 c.c. ricordando come, la responsabilità del medico possa essere affermata in base a un nesso di causalità presunta, quando la cartella clinica sia incompleta e quando la condotta del medico sia astrattamente idonea a provocare l’evento.
Tuttavia ha rilevato la Suprema Corte come, nel caso di specie, la cartella clinica era incompleta, in quanto non vi si riferiva quali manovre di parto avessero eseguito i sanitari e di conseguenza, anche laddove vi fosse stata una condotta colposa, essa sarebbe stata priva di efficacia causale.
I genitori hanno altresì dedotto di avere provato, in primo grado, che il ginecologo personale della gestante, avendola seguita durante l’intera gestazione, si sarebbe potuto avvedere con l’ordinaria diligenza della macrosomia del feto, ovvero del rischio di essa, e avrebbe perciò dovuto consigliare alla gestante il parto cesareo e come, di questa negligenza del ginecologo personale della gestante era tenuta a rispondere la ASL, poiché nell’ ospedale da essa gestito erano stati eseguite le ecografie disposte da quel libero professionista.
La Corte ha escluso che un ospedale pubblico possa essere chiamato a rispondere dell’errore commesso da un medico libero professionista, solo perché ivi siano stati eseguiti gli accertamenti da questo prescritti. Manca, in tal caso, qualsiasi criterio di imputazione all’ ospedale dell’operato del sanitario: non quello di cui all’ articolo 1228 c.c. e di cui all’ articolo 2049 c.c., non il principio cuius commoda, eius et incommoda.
La richiesta di un esame ecografico impone al debitore (l’ospedale) di eseguire con diligenza il suddetto esame; ma nemmeno la più lata interpretazione dell’articolo 1374 c.c. potrebbe condurre ad affermare che, richiesto un esame diagnostico, il personale sanitario che lo esegue assuma l’obbligo di sostituirsi al medico curante, già scelto dal paziente, assumendone tutti gli obblighi e gli oneri.
Con la commentata Sentenza, la Suprema Corte, ha posto l’accento sia sulla dovuta diligenza che, la struttura specialistica e il medico, chiamati ad eseguire un esame diagnostico, sono tenuti a porre in essere, oltre all’obbligo di informare il paziente circa l’emergere di sintomi dubbi od allarmanti. L’osservanza di detti obblighi, in capo agli esercenti l’attività sanitaria, non può certamente far profilare addebiti sia di natura penalistica che di natura civilistica. Altro fondamentale aspetto, che la Suprema Corte ricorda, è l’attenzione che il danneggiato debba seguire nel valutare ogni singolo rapporto, ovvero, paziente medico libero professionista da una parte e paziente struttura sanitaria dall’ altra, senza incappare in “confusionarie richieste”.