Commentary: ESMO–ESGO consensus conference recommendations on ovarian cancer: pathology and molecular biology, early and advanced stages, borderline tumours
Annals of Oncology, Volume 30, Issue 5, May 2019
Dott.ssa Vanda Salutari
Ginecologa Oncologa, Fondazione Policlinico Universitario “A. Gemelli” IRCCS di Roma
La consensus ESMO-ESGO sul carcinoma ovarico si è svolta dal 12 al 14 aprile 2018 a Milano; è stata tenuta da un gruppo multidisciplinare di 40 esperti di spicco nell’ ambito del carcinoma ovarico e presenta delle raccomandazioni basate sull’evidenza, al fine di migliorare la qualità dell’assistenza delle donne affette da carcinoma ovarico.
Le raccomandazioni si sono focalizzate su alcuni aspetti fondamentali quali anatomia patologica e biologia molecolare, gestione dei tumori in stadio iniziale e borderline, malattia in stadio avanzato e recidiva.
Prima della conferenza, il gruppo di esperti ha lavorato sulle domande clinicamente rilevanti nella gestione delle pazienti con carcinoma ovarico unitamente a una revisione sistematica della letteratura degli studi pubblicati tra gennaio 2007 e dicembre 2017. Durante la consensus, il gruppo di esperti ha sviluppato raccomandazioni per ogni specifica domanda.
Delle 20 domande affrontate nel documento di seguito quelle che sembrano impattare maggiormente sulle decisioni cliniche del ginecologo oncologo.
- Esistono eccezioni alla gestione chirurgica standard per il carcinoma ovarico in stadio iniziale?
Tali raccomandazioni sono molto importanti perché sottolineano l’importanza di asportare il tumore in stadio iniziale integro e di eseguire correttamente un restaging chirurgico.
La ristadiazione laparoscopica è una tecnica accettabile se eseguita da un ginecologo oncologo con adeguata esperienza nell’ eseguire una valutazione d’insieme.
Quando il carcinoma sia una diagnosi incidentale alla chirurgia per una sospetta condizione benigna, la seconda procedura chirurgica è necessaria quando la paziente non sia stata stadiata appropriatamente.
Il ruolo della linfadenectomia nel tumore ovarico in stadio iniziale è da sempre dibattuto. L’incidenza media riportata in letteratura di metastasi linfonodali nel carcinoma ovarico in stadio iniziale è del 14.2% (range 6.1-29.6%).
La linfadenectomia paraortica è parte della stadiazione chirurgica ed è raccomandata per definire lo stadio della malattia ed eventualmente candidare le pazienti a un trattamento sitemico adiuvante. [1-2].
Da una recente revisione sistematica della letteratura [3] uno dei limiti degli studi pubblicati sulla linfadenectomia è che non è riportata una differenza in base ai diversi istotipi. In considerazione delle recenti acquisizioni che riportano i diversi istotipi di carcinoma ovarico come entità biologiche completamente diverse, sarebbero necessari maggiori dati sull’ utilità della linfadenectomia nelle diverse istologie.
L’incidenza di metastasi linfonodali riportata in letteratura in base ai diversi istotipi è di circa il 19% per i carcinomi sierosi di alto grado, 2.7 % per i sierosi di basso grado, 13% endometrioidi, 20.8% per i cellule chiare, 1.7 % nei mucinosi [4].
In tale contesto le raccomandazioni di una delle ultime consensus GCIG sconsigliano di eseguire la linfadenectomia nelle pazienti con carcinoma ovarico di tipo mucinoso. [5].
2. Tutti i carcinomi di stadio I devono essere sottoposti a chemioterapia adiuvante e, in caso contrario, quali non ne necessitano?
Futuri studi mirati all’ individuazione di biomarcatori molecolari e genetici che consentano una migliore definizione delle classi di rischio negli stadi precoci, riusciranno a definire meglio il ruolo della chemioterapia adiuvante nei pazienti con neoplasia in stadio iniziale.
3. Come selezionare i pazienti per la chirurgia primaria di debulking o la chemioterapia neoadiuvante?
La valutazione di inoperabilità deve essere fatta in centri esperti di Ginecologia Oncologica e da operatori con adeguata esperienza, infatti alcuni studi hanno dimostrato un’aumento della sopravvivenza e del tasso di citoriduzione primaria nelle pazienti con carcinoma ovarico operate in centri di riferimento [6].
La linfadenectomia sistematica pelvica e lombo aortica è certamente una procedura di grande importanza stadiativa, infatti evidenzia un numero di metastasi linfonodale superiore rispetto al campionamento (22% vs 9% secondo un recente studio randomizzato italiano condotto negli stadi apparentemente iniziali di malattia), mentre è attualmente in discussione il suo ruolo terapeutico.
L’efficacia terapeutica della linfadenectomia sistematica pelvica e lomboaortica nelle pazienti con linfonodi non clinicamente sospetti e sottoposte a citoriduzione completa intraperitoneale e’ stata oggetto di uno studio multicentrico internazionale randomizzato (7) che ha evidenziato come la linfoadenectomia sistematica in pazienti con carcinoma ovarico avanzato e linfonodi clinicamente negativi possa essere omessa in quanto non si traduce in un aumento significativo della sopravvivenza.
4. Qual è il ruolo attuale del bevacizumab nel trattamento di prima linea?
Il primo e farmaco biologico approvato per la terapia medica di I linea del carcinoma ovarico avanzato è il bevacizumab.
Nei due studi randomizzati (GOG218 e ICON7) la chemioterapia standard con carboplatino e taxolo è stata confrontata con la stessa chemioterapia somministrata in combinazione con bevacizumab e seguita da mantenimento con solo bevacizumab, mostrando un incremento statisticamente significativo della progression free survival (12.7 vs 18.2 mesi nello studio GOG 218 e 16.0 vs 18.3 nello studio ICON7).
Nei due studi sono state usate durate diverse di trattamento (15 mesi vs 12 mesi) e dosi differenti di bevacizumab (15 mg/kg vs 7.5 mg/kg). [219, 220] Un’analisi post.hoc dello studio ICON7 ha inoltre mostrato un vantaggio in OS (28.8 vs 36.6 mesi) nel sottogruppo delle pazienti a piu’ alto rischio (stadi III e IV con residuo tumorale dopo la prima chirurgia e pazienti mai sottoposte ad intervento chirurgico). [8]
Sulla base dei risultati dello studio GOG218 ed ICON7 bevacizumab è indicato in combinazione con carboplatino/paclitaxel per 6 cicli e successivo mantenimento con solo bevacizumab fino ad un periodo complessivo di 15 mesi nelle pazienti in stadio IIIb-IV secondo l’approvazione ottenuta dall’EMA.
5. I regimi settimanali dovrebbero essere usati in prima linea?
Tuttavia, nonostante l’efficacia iniziale, il 70-80% dei pazienti con neoplasia in stadio avanzato sviluppa una recidiva di malattia entro i primi 2 anni e necessita di una successiva linea di trattamento. Numerosi sforzi sono stati condotto negli ultimi 20 anni per migliorare la efficacia della chemioterapia di I linea.
Dopo i sorprendenti risultati dello studio SOLO 1, attualmente nelle pazienti con carcinoma ovarico avanzato (stadio III-IV) e mutazione somatica o germinale del BRCA, lo standard consiste nell’ eseguire una chemioterapia standard con carboplatino e palcitaxel seguita da terapia di mantenimento con Olparib compresse 800 mg/die per 2 anni. [9].
6. Come dovrebbe essere integrata la terapia molecolare mirata nella gestione della recidiva di carcinoma ovarico?
La terapia del tumore ovarico recidivato dopo una prima linea è nel maggior parte dei casi a carattere palliativo, risultando curativo in una minoranza delle pazienti.
L’istologia sierosa, la presenza della mutazione di BRCA, le dimensioni tumorali, il numero di siti metastatici sono fattori predittivi indipendenti correlati alla risposta al trattamento.
Fino a pochissimo tempo fa (Consensus sul carcinoma ovarico Tokyo 2015) l’unico parametro su cui si valutava la scelta terapeutica al momento della ripresa di malattia era l’intervallo intercorso tra la fine del trattamento con platino e la comparsa di recidiva (Platinum free interval-PFI).
Il tasso di risposta al ritrattamento con platino è direttamente correlato con il PFI. Le pazienti recidivate si distinguono in refrattarie (progredite durante la I linea o entro 1 mese dall’ultimo ciclo di platino), resistenti (progredite o recidivate entro 6 mesi dall’ultimo trattamento con platino), parzialmente platino sensibili (con PFI tra 6 e 12 mesi) e platino sensibili (PFI > 12 mesi).
Attualmente, pur continuando il PFI a rappresentare un parametro importante per la scelta della terapia, altri aspetti (terapia ricevuta in prima line, stato mutazionale del BRCA, idoneità o meno della paziente a ricevere un ritrattamento a base di platino) vanno presi in considerazione.
Si preferisce pertanto oggi parlare di Treatment Free Interval e di dividere le pazienti recidivate in quelle candidate ad un ritrattamento con platino e quelle non eleggibili per tale terapia.
Nelle pazienti non eleggibili per ritrattamento con platino, incluso le refrattarie e resistenti secondo PFI la chemioterapia ha efficacia limitata. Gli agenti che sono stati testati in studi di fase III sono il topotecan, la doxorubicina liposomiale peghilata, la gemcitabina, il taxolo settimanale, la trabectidina
Nelle pazienti non candidate a rechallange con platino e con PFI tra 6 e 12 mesi, uno studio di fase III ha dimostrato la superiorità della combinazione trabectedina-doxorubicina liposomiale peghilata rispetto alla sola doxorubicina liposomiale in termini di PFS e OS. [10]
Nel setting della malattia platino-sensibile (PFI >12 mesi) la scelta terapeutica prevede il riutilizzo di regimi a base di platino. Gli schemi con carboplatino e taxolo e carboplatino e gemcitabina si sono dimostrati superiori al carboplatino come agente singolo. [11].
Lo schema con carboplatino e doxorubicina liposomiale è risultato più efficace di carboplatino e taxolo in termini di PFS (HR, 0.821; 95% CI, 0.72 to 0.94; P = .005); con un PFS mediano di 11.3 mesi verso 9.4 mesi rispettivamente, ma non di OS, in associazione ad un migliore profilo di tossicità. [12].
Il cancro dell’ovaio, pur essendo un tumore non frequente, rappresenta la prima causa di mortalità per tumori ginecologici nei paesi industrializzati Il calo della mortalità osservato recentemente è conseguenza dei miglioramenti ottenuti con un approccio integrato multidisciplinare sostenuto dalla maggiore conoscenza della biologia tumorale e dalla disponibilità di nuovi farmaci.
La Consensus ESMO-ESGO sul carcinoma ovarico rappresenta uno strumento basato sulle migliori prove scientifiche e sull’ esperienza in grado di fornire una guida pratica ed esaustiva per la pratica clinica
Appendice 1 . Livelli di evidenza e gradi di raccomandazione (adattati dalla Società di malattie infettive dell’America-Stati Uniti Servizio di sanità pubblica)
Livelli di evidenza
I. Evidenza da almeno un grande studio randomizzato controllato di buona qualità metodologica (basso potenziale di bias) o meta-analisi di studi randomizzati ben condotti senza eterogeneità
II. Piccoli studi randomizzati o grandi studi randomizzati con sospetto di bias (qualità metodologica inferiore) o meta-analisi di tali studi o di studi con eterogeneità dimostrata
III. Studi prospettici di coorte
IV. Studi di coorte retrospettivi o studi caso-controllo
V. Studi senza gruppo di controllo, case report, opinioni di esperti
Gradi di raccomandazione
- Forte evidenza di efficacia con un sostanziale beneficio clinico, fortemente raccomandata
- Evidenze forti o moderate per l’efficacia ma con un limitato beneficio clinico, generalmente raccomandate
- Insufficienti evidenze di efficacia o i benefici non superano i rischi o gli svantaggi (eventi avversi, costi, ecc.). Facoltativo
- Evidenza moderata rispetto all’efficacia. Generalmente non raccomandato
- Forte evidenza contro l’efficacia. Mai raccomandata
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